Si è tenuta in Università, l’ultima delle sei conferenze sul processo Aemilia organizzate dal CUP. Il Procuratore Roberto Alfonso e Stefania Pellegrini, esperta di antimafia, hanno dialogato a proposito sistema criminale che si era radicato nella nostra regione
Il processo Aemilia è solo l’inizio tiene a sottolineare il Procuratore Alfonso, presente oggi presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Unimore. Il maxi-processo che alla fine del 2018 ha portato a più di 100 condanne in primo grado, scardinando così un’organizzazione criminale attiva ormai da anni e perfettamente integrata sul nostro territorio, ha segnato un punto di non ritorno in Emilia-Romagna, terra che non potrà più considerarsi immune dalla presenza della mafia e che per tale ragione dovrà prepararsi a combatterla. E non è tutto, spiega l’eminente procuratore: quanto si è scoperto nel processo Aemilia deve condurre ad indagini più approfondite e a politiche di prevenzione da parte del nostro territorio. Il primo strumento per rendere resistente il tessuto sociale della nostra regione alle infiltrazioni delle mafie consiste nella formazione e nell’informazione, a partire proprio dalle nuove generazioni, ben rappresentate all’incontro di oggi in Università. Nelle nostre terre, la mafia indossa una maschera che la rende particolarmente insidiosa, la maschera dell’imprenditoria: i mafiosi infatti arrivano prima con i loro soldi poi con i loro metodi, ricorda Giuliano Fusco, Presidente del CUP, citando il giudice Falcone. E non è un caso se il ciclo di incontri sul processo Aemilia, conclusosi oggi, è stato organizzato proprio dal Comitato Unico Professionisti: estremamente rilevante infatti il ruolo delle libere professioni al giorno d’oggi nel l’affermarsi dei sistemi criminali, come ricorda Stefania Pellegrini, accademica dell’Università di Bologna, oggi al fianco del Procuratore Alfonso.
Nel video, l’intervista di:
– Roberto Alfonso, Procuratore Generale di Milano
– Stefania Pellegrini, Università di Bologna – Mafia e Antimafia