Sono trascorsi tre anni dalla rivolta che l’8 marzo del 2020 scatenò il panico all’interno del carcere Sant’Anna. A partire da quella data gli istituti penitenziari italiani furono investiti da un effetto domino di rivolte di detenuti. La prima a Modena, seguita da Rieti, Bologna e in decine di altri istituti. Proteste anche violente scaturite in parte dalla paura per i primi contagi di Covid ma soprattutto dalla sospensione dei colloqui con i familiari e delle altre attività in vigore. Solo a Modena la rivolta costò la vita a nove detenuti. A distanza di tre anni sono ancora tanti i nodi da sciogliere. Subito dopo i fatti la Procura aveva aperto tre diversi fascicoli. Uno per le devastazioni compiute dagli internati, un secondo per la morte dei nove reclusi e un terzo per le presunte violenze che alcuni poliziotti penitenziari avrebbero commesso durante la rivolta. Nel giugno del 2021 il giudice per le indagini preliminari di Modena Andrea Romito, aveva archiviato il caso dei decessi, in quanto secondo le indagini furono causati da una overdose di metadone e pertanto non emersero responsabilità. Inoltre nell’ottobre del 2022 dopo il ricorso presentato dai familiari di uno dei detenuti morti è stato aperto anche un procedimento Cedu, presso la Corte Europea dei diritti dell’Uomo per chiedere l’apertura delle indagini.

Nel frattempo sono state aperte altre inchieste, dopo alcuni esposti di detenuti, anche per il reato di tortura, per i quali la Procura di Modena aveva iscritto nel registro degli indagati diversi agenti della Polizia Penitenziaria. Accuse al momento ancora al vaglio delle Indagini. Una storia nera per il carcere di Modena che fino ad allora non aveva mai registrato tante vittime durante una rivolta.