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Chiese e palestre, sbloccati i fondi


    Via libera della Regione a circa 45 milioni di euro Deciso il regolamento per l’assegnazione dei moduli

    MIRANDOLA – Sono circa 45 i milioni messi a disposizione dalla Regione per ricostruire chiese e palestre nelle zone del Cratere. Le ordinanze sono state firmate ieri a Bologna dal commissario straordinario Errani e se non altro tamponano una situazione rimasta ancora di grande emergenza. Al di la dei disagi nelle scuole e per le società sportive diversi campanili restano inagibili, bloccando con la propria precarietà alcune strade. In particolare ammontano a 29 milioni di euro le risorse destinate per realizzare le palestre scolastiche temporanee nei Comuni colpiti dal sisma. Complessivamente però si prevede una spesa pari a 27 milioni e 533.000 euro, mentre vengono assegnati ad alcuni Comuni un milione e 466.000 euro per la diretta realizzazione degli interventi: a Cavezzo 82mila euro, a Sant’Agostino 200mila euro, a Finale Emilia 532mila e a Mirandola 651mila euro. La concessione definitiva dei contributi ai Comuni e’ subordinata alla presentazione, entro 30 giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza, del progetto esecutivo degli interventi. Contemporaneamente sono stati deliberati anche oltre 15 milioni di euro per le chiese dichiarate inagibili dopo il terremoto. L’ordinanza autorizza e finanzia interventi immediati di riparazione e di ripristino con miglioramento sismico degli edifici religiosi. Nella sua decisione Errani si è basato anche su indicazioni fornite da un report della Conferenza episcopale dell’Emilia-Romagna, ufficio Beni culturali ecclesiastici. Sempre ieri in Regione è stata varata la definitiva regolamentazione per l’assegnazione ai Comuni dei prefabbricati abitativi rimovibili sia per gli ambiti urbani (poco meno di 800) che rurali (circa 170). In pratica il provvedimento regola la destinazione ai Comuni dei moduli stabilendo anche i criteri di assegnazione ai nuclei famigliari. Per quanto riguarda la distribuzione dei prefabbricati modulari abitativi rimovibili (i cosiddetti Pmar), questi sono destinati e concessi in utilizzo ai Comuni di Cavezzo, Cento, Concordia sulla Secchia, Mirandola, Novi di Modena, San Felice, San Possidonio. Mentre i prefabbricati modulari rurali rimovibili (Pmrr) sono destinati e concessi in utilizzo a diversi Comuni terremotati della Bassa modenese e delle altre provincie. L’ordinanza dispone quindi che le strutture abitative siano destinate a titolo gratuito all’alloggiamento provvisorio delle persone e nuclei familiari la cui abitazione è stata dichiarata inagibile e risulta inagibile alla data di assegnazione e fino al recupero dell’alloggio recuperato. In rispetto a quanto precedentemente disposto dall’ordinanza di sgombero emessa dal Comune per i residenti o dimoranti abitualmente alla data del sisma. Mentre il grande freddo è già arrivato il Natale si avvicina e per l’allestimento dei moduli è già iniziata la corsa contro il tempo.

    Sindacati e pazienti in difesa dei professionisti del reparto


      L’appello del procuratore Zincani ad abbassare i toni sembra sia già stato accolto: da più parti arriva una levata di scudi nei confronti del reparto del Policlinico finito sotto accusa dopo la lettera dell’associazione Amici del Cuore. In questo caso non è l’Università a porsi a difesa della Cardiologia diretta dalla professoressa Maria Grazia Modena, ma un ente terzo, il sindacato Uil. «Non possiamo e non dobbiamo generalizzare – scrive Gerry Ferrara, segretario generale della Federazione Poteri Locali della Uil Emilia Romagna -, seppur con gli evidenti limiti citati: nell’esprimere la piena solidarietà ai cittadini coinvolti in ‘lesioni in conseguenza di errori’ subiti presso le strutture sanitarie modenesi, non vorremmo che da una vicenda gravissima come quella accaduta al Policlinico di Modena, i cui protagonisti sono stati sanzionati, lo stesso Policlinico si trasformasse in un mostro inefficiente. La campagna mediatica, in atto da più di un mese, risulta assolutamente denigratoria e non corrispondente alla realtà sanitaria della clinica Cardiologica e del Policlinico in toto, quasi mirata a screditare uno dei centri di eccellenza che è stato da sempre il fiore all’occhiello della sanità modenese. Tutto ciò sta creando, inevitabilmente, un ingiustificato allarmismo tra gli utenti modenesi e non, minando nelle fondamenta il rapporto fiduciario medico-paziente non solo nel reparto di Emodinamica cardiologica (che pur è un centro di assoluta visibilità in campo nazionale) da cui è nato il motivo del contendere, ma anche gli altri servizi della cardiologia (reparto, Utic, Aritmologia e ambulatori) che svolgono tutti i giorni un riconosciuto servizio di eccellenza e apprezzato». Una considerazione comprensibile, anche se non bisogna dimenticare che le ‘campagne mediatiche’ (se così si possono chiamare) rispondono esclusivamente al diritto dei lettori (cittadini, pazienti, utenti) ad essere informati. (da.fra.)

      LAVORI SUGLI ARGINI: 94 TANE CHIUSE SUL SECCHIA


        94 tane di tassi, volpi, istrici e nutrie chiuse sull’argine del Secchia nel tratto che va da Ponte Alto a Santa Caterina, frazione di Concordia. E’ questo il bilancio dei lavori post alluvione nella zona di San Matteo, alle porte di Modena. Un intervento diretto innanzitutto a eliminare quelle che, secondo la commissione scientifica della Regione, sono state le prime cause del disastro del 19 gennaio: le tane degli animali selvatici. Ed ecco cosa hanno fatto in questi giorni gli operai:

        Beirut, appello web dei ciclisti rapiti


          BeirutSette ciclisti estoni rapiti il 23 marzo scorso nella valle libanese della Bekaa chiedono in un video pubblicato su You Tube ai dirigenti libanesi, sauditi giordani e francesi di aiutarli a tornare a casa. Nel filmato, della durata di poco meno di due minuti, i sette estoni appaiono in discrete condizioni di salute. Tre di loro parlano a turno, rivolgendosi direttamente al premier libanese, ai sovrani saudita e giordano e al presidente francese: «Per favore, fate tutto il possibile per farci tornare a casa, al più presto», dice uno di loro, parlando lentamente, in inglese. Due settimane fa, il ministro degli interni libanese aveva affermato che i sette ostaggi potrebbero essere stati trasferiti in Siria, anche se aveva aggiunto che «non ci sono informazioni precise».

          Libia, colpiti i reporter occidentali: un morto


            La vittima è l’inglese Tim Hetherington. Altri tre sono feriti

            Misurata è allo stremo e torna a invocare l’invio di truppe di terra internazionali per ragioni umanitarie. Ieri nella città assediata dalle forze di Gheddafi le cannonata hanno colpito anche reporter stranieri, uno dei quali, il britannico Tim Hetherington, è morto, mentre c’è incertezza sulla sorte di un altro, un americano ferito in modo grave. Feriti anche altri due o tre, a seconda delle fonti. «Se non arrivano» truppe di terra straniere «moriremo», ha detto uno dei leader degli insorti di Misurata, Nuri Abdallah Abdullati, che attraverso il Consiglio transitorio libico di Bengasi ha lanciato la sua disperata richiesta d’aiuto, soprattutto a Francia e Gran Bretagna. «Finora non abbiamo accettato soldati stranieri nel nostro paese ma ormai, con i crimini perpetrati da Gheddafi, chiediamo sulla base di principi umanitari e islamici che qualcuno venga a far cessare la carneficina», ha affermato. Da Bengasi, è arrivato anche una sorta di imprimatur da parte del Cnt, il Consiglio nazionale di transizione. Un portavoce, Hafiz Ghoga, ha detto che se per proteggere i civili sarà necessaria la presenza di truppe di terra straniere «allora noi non avremmo nulla in contrario». Di «crimini internazionali» ha parlato anche l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, che ha condannato il presunto uso di bombe a grappolo su Misurata da parte del regime. I reporter stranieri sono stati raggiunti da un colpo di mortaio nella Tripoli Street, epicentro dei combattimenti fra governativi e insorti, secondo media statunitensi e britannici. La vittima accertata, il fotografo e documentarista britannico Tim Hetherington, 41 anni, era stato nominato all’Oscar per un suo documentario sull’Afghanistan. Hetherington, nato a Liverpool, era molto conosciuto nell’ambiente. Il film racconta un anno di vita di un plotone dell’esercito Usa in Afghanistan. I militari americani erano incaricati di difendere una collina intitolata ad un medico militare americano, Juan Restrepo, ucciso in battaglia. «I ribelli ora controllano il 50% della strada. L’altro 50% è controllato dai soldati e dai cecchini di Gheddafi», ha detto un portavoce dei ribelli che si è presentato come Reda. L’area vicina al porto, che è sotto il controllo degli insorti, per ora «è calma e le navi riescono ad attraccare», ha dichiarato ancora Reda. Tanto che ieri «è arrivata una nave turca con aiuti umanitari e due navi del Qatar hanno evacuato circa 1500 africani», ha aggiunto riferendosi ai lavoratori stranieri che da settimane cercano di fuggire da Misurata. Una delle due navi ne ha trasferiti circa 800 a Tobruk, nell’est della Cirenaica, a solo un centinaio di chilometri dal confine egiziano. Sarebbero già oltre mille i morti dall’inizio della rivolta, sulle complessive 10.000 vittime e oltre 50.000 feriti in tutto il Paese denunciati dalle fonti ospedaliere e sottolineate con forza dal Consiglio transitorio libico, mentre secondo l’Unicef sarebbero decine di migliaia i bambini intrappolati in città.

            Usa, Obama riparte dalla marea nera: «Recupererò le coste»


              Attenta, BP: nel Golfo del Messico resta ancora molto lavoro da fare e gli Stati Uniti continuano a considerarti responsabile del disastro di un anno fa. In questi termini il presidente americano Barack Obama ha ricordato ieri il primo anniversario della catastrofe ecologica nel Golfo del Messico. A un anno esatto dal giorno in cui avvenne l’incidente sulla Deepwater Horizon, Obama in una dichiarazione diffusa dalla Casa Bianca ha sottolineato che per il «più grave disastro ecologico» della storia la sua amministrazione resta ferma sulle sue posizioni: «BP, e altre parti, sono pienamente responsabili di quanto avvenuto, e la Casa Bianca starà molto attenta a che vengano onorati gli impegni presi in seguito al disastro». Erano le 21:45 del 20 aprile di un anno fa quando al largo della Louisiana esplodeva una delle tubature della piattaforma. Quell’esplosione, dovuta al mancato funzionamento di una pompa idraulica, ha causato non solo 11 morti e 17 feriti. Ha provocato anche la più inarrestabile fuga di petrolio mai vista. «Sono stati 4,9 milioni di barili di petrolio quelli finiti in mare», ha ricordato Obama, e a causa di quel petrolio l’intera industria marittima di tre Stati (Louisiana, Mississippi e Texas, senza tener conto dei danni provocati in Florida) è stata messa in ginocchio. Neppure il disastro provocato nel 1989 sulle coste dell’ Alaska dalla petroliera Exxon Valdez aveva avuto conseguenze così gravi. «La BP ne è responsabile» disse allora Obama. E a un anno di distanza ha tenuto a ribadire lo stesso messaggio. «Fin dall’inizio, la mia amministrazione si è adoperata per portare tutta l’assistenza possibile – ha precisato il presidente americano – al culmine del nostro intervento, erano 48 mila le persone impegnate per cercare di alleviare il disastro. Anche se abbiamo fatto progressi significativi il lavoro non è ancora finito». BP lo sappia, e sia consapevole che l’amministrazione Usa «tiene d’occhio» quanto si sta facendo nel Golfo. Sia per quanto riguarda i risarcimenti, sia per quanto riguarda le attività di recupero. Obama ha ricordato che a tutt’oggi sono ancora duemila le persone che continuano a lavorare sulle conseguenze lasciate dalla marea nera. «Gli eventi da cui ha avuto inizio l’incidente del 20 aprile 2010, e la fuga di petrolio che ne è seguita, mettono in luce il rapporto critico che esiste tra la salute economica e quella ambientale del Golfo – ha concluso – La mia amministrazione è intenzionata a fare tutto ciò che è necessario per proteggere e restaurare le coste del Golfo». Che BP lo sappia, e si muova di conseguenza.

              Denunciò violenze, Manning trasferito in altro carcere


                Da un carcere di massima sicurezza dei Marines a una prigione (teoricamente) più umana, di media sicurezza. Pur negando che il trasferimento sia frutto delle crescenti pressioni internazionali, il Pentagono ha deciso di trasferire Bradley Manning, il soldato americano accusato di aver passato a Wikileaks centinaia di migliaia di documenti segreti, al carcere di Fort Leavenworth, in Kansas. Manning si trovava nella durissima prigione della base di Quantico, in un regime di massima sicurezza che secondo alcune organizzazioni di difesa dei diritti umani è simile alla tortura. Per otto mesi ha passato 23 ore al giorno isolato in una cella, consumando i pasti da solo, incatenato quando veniva spostato, e dovendo dormire praticamente nudo la notte, ufficialmente per evitare che potesse ferirsi o suicidarsi. Come ha spiegato Jeh Johnson, il responsabile legale del Pentagono, Manning avrà un regime di detenzione meno duro e potrà avere contatti con gli altri detenuti. In queste ultime settimane, si sono moltiplicate le pressioni sulle autorità americane, anche perchè era stato negato il diritto di visita a un inquirente dell’Onu.

                Frontiere Ue: ok alla revisione di Schengen


                  Il collegio dei Commissari Ue ha dato via libera alla bozza di comunicazione sull’immigrazione preparata da Cecilia Malmstrom. Tra i punti qualificanti c’è il rafforzamento di Frontex e una nuova governance di Schengen. Il documento sarà approvato dalla Commissione il prossimo 4 maggio. Il meccanismo prevede un maggior ruolo della Commissione nella valutazione dei rischi alla frontiera esterna, anche di fronte a flussi migratori. L’obiettivo è far sì che «l’Ue possa gestire la situazione quando uno Stato membro non rispetta i suoi obblighi nel controllare il suo settore della frontiera esterna o quando una particolare porzione della frontiera esterna finisca sotto inattesa e pesante pressione dovuta a eventi esterni». Nel documento si osserva che «una risposta coordinata da parte dell’Unione in queste situazioni critiche «accrescerà la fiducia fra Stati membri» e «ridurrà la necessità di iniziative unilaterali per reintrodurre i controlli alle frontiere o intensificare i controlli di polizia». Secondo quanto spiegato da fonti europee, i commissari hanno trovato l’accordo sull’idea di una frontiera esterna che possa «arretrare» quando un paese di fatto dichiarata di essere al «collasso» di fronte alla pressione di un flusso migratorio incontrollabile. Punto di partenza del dibattito è la questione, aperta da mesi, dell’opposizione franco-tedesca dell’ingresso di Bulgaria e Romania nello spazio Schengen. Con la revisione della governance di fatto diventerebbe possibile la creazione di una «rete di protezione».

                  Nucleare, il Senato ferma centrali e referendum


                    L’emendamento del governo che sotterra il programma nucleare italiano abroga di fatto le norme oggetto del referendum che, quindi, è inutile. Il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, va in aula al Senato a cantare il de profundis dell’atomo e incassa il primo sì all’emendamento al decreto omnibus che, spiega il governo, sostituisce la richiesta di moratoria di un anno, sancisce l’abbandono del piano energetico nucleare definito nella legge del 2009 e, appunto, abroga le norme oggetto del referendum di giugno. La Cassazione, comunque, attende la pubblicazione del decreto prima di prendere una qualsiasi decisione. Il ministro ha spiegato che «il quadro è drammaticamente cambiato e coerenza vuole che la riflessione tempestivamente aperta nel nostro Paese si tramuti in una strategia di revisione del programma». Allo stesso tempo, tuttavia, Romani ha ribadito l’importanza degli stress test sulle centrali europee esistenti, aggiungendo che «il quadro di compatibilità nucleare per l’Italia potrà essere chiaro solo dopo alcuni passaggi», in particolare la definizione dei «nuovi criteri che saranno stabiliti in Europa». Quanto al referendum, a giudizio di Romani sarebbe stato sbagliato chiamare i cittadini a scegliere «fra un programma di fatto superato o una rinuncia definitiva sull’onda dell’emozione», ma «senza avere sufficienti elementi di chiarezza». Inoltre un esito abrogativo del referendum «avrebbe messo decisamente in secondo piano le nostre posizioni, le richieste, le pressioni con cui vogliamo garantire sicurezza al nostro Paese». Il lavoro, adesso, sarà allora tutto per la definizione della nuova strategia energetica con il potenziamento delle infrastrutture, il sostegno alla ricerca e la promozione delle rinnovabili. Proprio ieri però i metalmeccanici del fotovoltaico hanno incrociato le braccia per il primo sciopero del settore, protestando contro il taglio degli incentivi deciso dal governo a marzo. Nel frattempo, ha in ogni caso sottolineato il presidente dell’Agenzia per la sicurezza, Umberto Veronesi, la ricerca italiana non deve fermarsi, «e non rimanga così esclusa dall’evoluzione scientifica del mondo civile». . Un auspicio condiviso anche dall’ad dell’Eni, Paolo Scaroni, il quale si è augurato che «lo stop del nucleare non sia definitivo perchè la tecnologia di oggi è molto diversa da quella della centrale di Fukushima».

                    Uccisa una 29enne ad Ascoli, sul corpo anche una svastica


                      Vira sull’horror il giallo di Carmela Rea, detta Melania, 29 anni, scomparsa il 18 aprile, quando si era allontanata dal pianoro di Colle San Marco di Ascoli Piceno, dove era salita con il marito Salvatore Parolisi, sottufficiale dell’esercito in servizio al 235/o Reggimento Piceno, e la loro bambina di 18 mesi. Dopo due giorni di ricerche, il suo cadavere sfigurato è stato trovato ieri pomeriggio, dopo una telefonata anonima, a Ripe di Civitella, in provincia di Teramo, a 18 Km dalla zona della scomparsa, nei pressi di un’area militare usata per le esercitazioni di tiro. La gola squarciata, sul corpo lividi e segni di percosse, una siringa infilata sul collo forse in un tentativo di depistaggio. Chi l’ha uccisa avrebbe anche infierito sul cadavere, incidendo segni e simboli nella carne, compresa una svastica, mentre non ci sarebbero segni di violenza sessuale. La salma è stata trovata in una zona boscosa, a qualche centinaio di metri da una deviazione lungo la strada provinciale 35 che conduce verso un chiosco. Una zona troppo lontana dal pianoro di Colle San Marco perchè Carmela-Melania ci sia arrivata da sola.

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