In Emilia-Romagna mancano 536 medici di famiglia.

È il dato più evidente del nuovo rapporto elaborato dalla Fondazione Gimbe, secondo il quale la nostra è la quarta regione d’Italia come impatto del sotto-organico medico, una delle regioni (insieme a Lombardia, Veneto e Campania) a risentirne maggiormente.

Il dato, nazionale e regionale, è destinato ad aumentare, dal momento che – secondo il report di Gimbe – altri 3400 medici di base in tutta Italia chiuderanno i loro ambulatori entro fine 2025.

Chi resta rischia il super lavoro. Già adesso, oltre la metà (il 57,6%) dei medici di famiglia che esercitano la professione in Emilia-Romagna supera il tetto massimo di 1374 pazienti a testa, come previsto dal contratto di lavoro con il Servizio Sanitario Nazionale.

E in previsione, potrebbero essere ancora di più. La Fondazione Gimbe, infatti, fa notare che la necessità di assistenza medica agli anziani è destinata ad aumentare, con la crescita dell’età media di vita: basti pensare, ad esempio, che in 40 anni il numero degli over 65 in Italia è quasi raddoppiata, passando dal 12,9% al 24% della popolazione.

Ad essere maggiormente penalizzate – ha spiegato l’assessore regionale alla Salute, Massimo Fabi – saranno le comunità più periferiche e, nello specifico, i paesi dell’Appennino emiliano-romagnolo: molti di essi potrebbero non avere più un medico di base sul proprio territorio comunale.

Come risolvere il problema di una professione, che sembra non attirare più i giovani?

All’orizzonte, si sa, c’è la rivoluzione del lavoro dipendente: i medici di base diventeranno a tutti gli effetti lavoratori statali, alle dipendenze del Servizio Sanitario Nazionale. Basterà per fermare l’emorragia di camici bianchi?