Non solo Ferrari, ma anche Parmigiano, Aceto e Lambrusco. I prodotti fuoriclasse del nostro territorio sanno bene cosa vuole dire scontrarsi col fantasma della contraffazione. Lo dimostrano i maxi-sequestri e le cause intentate dai Consorzi di tutela negli ultimi anni. Per il Parmigiano, per esempio, basta ricordare i vari Parmesan, Parmeso e Parmetta, imitazioni puntualmente denunciate alle autorità americane, spagnole e americane. Che dire poi del Lambrusco e dell’Aceto Balsamico, da sempre protagonisti di ‘plagi’ in giro per il mondo (ne parliamo più approfonditamente nell’articolo sotto). Abbiamo discusso di questo fenomeno globale col professor avvocato Massimo Montanari, professore ordinario di Diritto Commerciale all’Università di Modena e Reggio Emilia, esperto del tema sia dal punto di vista teorico che per casi giuridici seguiti in prima persona. Il nostro territorio vanta brand che spopolano sui mercati internazionali. Brand che non conoscono crisi, nemmeno sul mercato parallelo delle imitazioni. «A Modena abbiamo delle eccellenze di livello mondiale e spesso non ce ne rendiamo conto. Se vengono contraffatti marchi come Louis Vitton e Rolex, stessa cosa capita a Ferrari, Aceto balsamico e Parmigiano. In particolare per l’oro nero, di cui ho seguito personalmente alcune vicende giuridiche, parliamo di un prodotto che ha una fortissima espansione commerciale e che non conosce segni di recessione. Per la Ferrari vale lo stesso discorso perché parliamo di uno status-symbol del mercato automobilistico e questo comporta che qualcuno sia tentato di specularci». In particolare per la Rossa di Maranello le imitazioni non appartengono soltanto alle cronache recenti. «Una delle prime contraffazioni di Ferrari avvenne nella serie televisiva Miami Vice degli anni ‘80. Se si guarda la prima stagione si vede che il protagonista dovrebbe viaggiare su una Ferrari bianca sequestrata a un mafioso, ma che in verità è una Chevrolet Corvette modificata. La leggenda narra che Enzo Ferrari in persona, piuttosto che fare causa ai produttori, ebbe un lampo di genio e chiese di fare comparire due veri modelli nel telefilm. In questo modo ebbe un ritorno d’immagine fortissima». Spesso si è portati a pensare che i campioni della falsificazione siano i cinesi, mentre il fenomeno è ormai globale. «Io ho notizia di Ferrari contraffatte e sequestrate in Spagna anche diversi mesi fa. Noi pensiamo sempre che il cinese sia un contraffattore nato, ma in verità tutto il mondo è paese. Quando c’è l’occasione di speculare sul prestigio di un prodotto, fatalmente qualcuno da una parte o dall’altra del pianeta è tentato». Quali sono gli strumenti messi in campo dai grandi marchi per difendersi? «Tutti i gruppi investono tantissimo in consulenze investigative e spese legali per denunciare le contraffazioni alle autorità guidiziarie e penali di tutti i Paesi del mondo, oppure si attivano direttamente per chiedere sequestri e debitorie ai giudici civili. Per loro è un po’ come spendere per l’antifurto di casa». Negli anni le autorità europee di sono dotate di diverse norme per contrastare la concorrenza sleale. Secondo lei si sta facendo abbastanza? «A livello normativo penso che la Comunità europea stia svolgendo benissimo il suo mestiere. Basti citare la direttiva sui marchi che è recepita in tutta Europa da molti anni, Purtroppo, però, in queste materie o è l’interessato che riesce ad attivare la difesa legale oppure d’ufficio la tutela scatta solo qualche volta». Che ruolo gioca il consumatore in questo scenario? E’ sempre ignaro o in alcuni casi può rivelarsi complice? «Secondo alcune indagini sociologiche il consumatore inconsapevole è quello che compra solitamente prodotti di qualità media. Chi acquista lo status symbol, invece, quasi sempre è a conoscenza della falsità dell’oggetto perché se ne intende. Dietro c’è spesso un meccanismo psicologico studiato varie volte: c’è il cliente che vuole gratificarsi illudendosi di possedere qualcosa di valore. Oppure, solitamente, vuole far credere agli altri di essere di rango elevato per avere maggiore considerazione da parte della società in cui è inserito». nVincenzo Malara