I pm chiedono la condanna ma senza aggravante mafiosa: sentenza il 16 maggio

«Bitonti e Perrone meritano la condanna, ma non hanno agito con metodi mafiosi». A sostenerlo in aula è stata la stessa accusa (pm Mazzei e Cieri): si sgonfia così il caso che ha visto protagonista l’avvocato civilista modenese Alessandro Bitonti (nella foto), arrestato nel febbraio del 2011 (poi rilasciato) con l’accusa di aver invocato l’aiuto del boss casalese Alfonso Perrone (detto O Pazzo) e del cugino Pasquale Perrone per risolvere una questione privata. E la soluzione si sarebbe tradotta in un pestaggio, avvenuto nel seminterrato di un noto bar del centro di Modena. Ieri, nell’aula del Tribunale di Modena, è andata in scena la requisitoria dei pm, che si è conclusa con una richiesta di tre anni di reclusione ciascuno per Bitonti e Pasquale Perrone (gli altri coinvolti, Alfonso Perrone, Douglas Marchesi e Carmine Tammaro, sono già stati giudicati in passato per questi fatti). Ma la cosa più importante è che è stata la stessa accusa a chiedere di non riconoscere l’aggravante mafiosa, contestata sin dall’inizio a tutti gli indagati. Subito dopo hanno preso la parola i difensori (avvocati Roberto Ghini e Luca Brezigar per Bitonti, e Graziano Martino per Perrone), chiedendo l’assoluzione dei propri assistiti. Lo stesso Bitonti ha reso dichiarazioni spontanee di fronte ai giudici, confermando la propria innocenza. In pratica ha ribadito ciò che va dicendo dal giorno dell’arresto: «Non c’entro niente con l’estorsione, tantomeno con l’associazione mafiosa. Non ho chiesto io ai Perrone di fare giustizia con un pestaggio». La sentenza è prevista per il prossimo 16 maggio. Va verso la conclusione, dunque, la vicenda che tanto aveva fatto parlare. Durante le scorse udienza a parlare in aula era stata la vittima dell’aggressione, che raccontò così ai giudici l’accaduto: «Eravamo tutti seduti in una sorta di cerchio, prima mi parlavano tranquillamente, chiedendomi se avessi trovato lavoro e come andava a casa. Ad un certo punto l’atteggiamento di Perrone è cambiato, è diventato aggressivo, prima verbalmente e poi sono passati alle mani. Mi è arrivato subito uno schiaffo, poi una raffica di calci e pugni. E’ durato circa cinque minuti, poi mi hanno lasciato andare». Come emerso dalle testimonianze rese davanti al collegio, a pestare l’uomo sarebbero stati i due cugini Perrone, Tammaro più un’altra persona di cui non si conosce l’identità. Marchesi, Bitonti e l’altra vittima sarebbero rimasti immobili, impietriti da ciò che stava accadendo. I tre sarebbero riusciti a proferire solo qualche parola, per convincere gli agressori a fermarsi. A favore di Bitonti c’è sicuramente il non aver agito, oltre che la presunta inconsapevolezza di come sarebbe finita la cosa. (da.fra.)