Quello del Governo Letta è solo l’ultimo tentativo di mettere mano alle Province andando verso l’abolizione. Precedentemente ci aveva provato l’ultimo governo Berlusconi – che prevedeva l’abolizione delle province ma contemporaneamente la creazione di un ente intermedio che le regioni avrebbero dovuto inventarsi – e nel 2012 Monti con l’approvazione del decreto ‘Salva-Italia’ naufragato insieme al Governo – cosiddetto – d’emergenza nazionale, e definitivamente sepolto agli inizi di luglio di quest’anno dalla Corte Costituzionale che ne ha dichiarato l’incostituzionalità. In sintesi, i giudici sostengono che una seria riforma delle province non si può fare attraverso lo strumento ‘decreto legge’. E infatti hanno scritto nella sentenza: «Il decreto-legge, atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza, è strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate nel presente giudizio». Il tentativo del Governo Monti era stato sostanzialmente in tre decreti. Il primo è stato appunto quello denominato ‘Salva-Italia’ con il quale è stata stabilita l’abolizione dei consigli provinciali e la drastica riduzione delle competenze. Il secondo era invece quello inerente la spending review, ed era incentrato sul dimezzamento del numero di province. Dopo pochi mesi un terzo decreto ad hoc ridisegnava la geografia del Paese descrivendo il nuovo assetto amministrativo italiano. Quando ormai il percorso sembrava dunque segnato, ecco arrivare la crisi del governo Monti, che ha causato lo stop alla conversione in legge dell’ultimo decreto. E, in contemporanea, un emendamento della legge di stabilità ha rimandato al primo gennaio del prossimo anno l’abolizione dei consigli provinciali. Ma quali sono le ragioni che ha spinto la Corte Costituzionale ad accogliere il ricorso presentato da otto regioni (Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Campania, Molise, e Sardegna) e bocciare la riforma Monti? I giudici hanno dichiarato l’incostituzionalità, da un lato, dell’articolo 23 del decreto salva-Italia che trasformava le amministrazioni provinciali in organismi di secondo livello e, dall’altro, degli articoli 17 e 18 della spending review che disponevano la cancellazione di quelle con meno di 350mila abitanti e un’estensione di 2.500 chilometri quadrati. Ora si spera che il tentativo del governo Letta vada a segno. O è proprio il tema dell’abolizione delle Province a portare sfortuna?