Massimo Bontempelli, fondando nel 1926 la rivista “Novecento”, scrisse: «Il Novecento ci ha messo molto a spuntare. L’Ottocento non poté finire che nel 1914. Il Novecento non comincia che un poco dopo la guerra». In mezzo tra quei due vertici temporali così sottili, complessi e discussi si pone la rassegna forlivese, allestita e curata con l’altissima qualità a cui ci hanno piacevolmente abituato ormai da diversi anni i locali Musei San Domenico, e aperta fino al prossimo 16 giugno con orario (continuato) da musei europei. Il titolo, Novecento. Arte e vita in Italia tra le due guerre porta in sé sia l’ampio spettro delle espressioni artistiche personali e differenti che caratterizzarono gli anni tra la fine del primo conflitto mondiale e la fine del secondo, sia l’indicazione di un obiettivo ben preciso di quel periodo artistico, la definizione di un “ritorno all’ordine”, di un recuperato e rivitalizzato canone classico, di un modello che doveva conciliare tradizione e modernità nel nome di una nuova armonia. Felice Casorati, Achille Funi, Mario Sironi, Carlo Carrà, Adolfo Wildt (a cui i medesimi Musei San Domenico hanno dedicato esattamente un anno fa una splendida retrospettiva) e Arturo Martini furono i principali interpreti di queste istanze artistiche, ma su tutti loro agì l’intelligenza unificatrice, «lo spirito critico e organizzativo» di Margherita Sarfatti, la Musa del Fascismo e il consigliere politico più fidato di Benito Mussolini oltre che una delle sue tante amanti, la giornalista di origini ebraiche che aveva collaborato con lui a fondare il regime, la direttrice editoriale della rivista “Gerarchia”, l’autrice della biografia Dux, uscita nel 1926 e, non da ultimo, l’animatrice del gruppo artistico battezzato “Novecento”, nome che automaticamente rimanda all’ennesimo significato presente nel titolo della mostra forlivese data appunto la centralità di Margherita, il suo ruolo e il sostegno di Mussolini che ella riuscì a garantire agli amici artisti. I quali, dal canto loro, ricambiarono contribuendo con la rispettiva arte alla definizione di un’arte di Stato ora direttamente ispirata alla classicità, ora modellata sulla ripresa della classicità già riletta dal Rinascimento: il primissimo Quattrocento di Masaccio, l’Umanesimo severo di Andrea Mantegna, il realismo geometrico di Piero della Francesca, in particolare, furono avvertiti come stili alquanto vicini a ciò che il regime fascista andava cercando per esprimersi in modo ideale. Per esprimere un ideale di “moderna classicità”, secondo la fortunata formula coniata, ancora una volta, da Margherita Sarfatti, la vicinanza di Forlì a Predappio, paese natale di Mussolini, e quindi l’inevitabile diretta incidenza del regime su questi luoghi, rende poi possibile un’integrazione in più alla rassegna, quella dell’architettura tipica, e immediatamente ravvisabile, del Ventennio, ancora ben testimoniata in città come in altri centri della Romagna. Al pari dell’urbanistica, della pittura murale e della scultura monumentale, queste ultime indagate all’interno di cantieri pubblici come i Palazzi di Giustizia, le sedi delle Poste e delle Università. «La mostra presenta, dunque, i grandi temi affrontati dagli artisti che aderirono alle direttive del regime fascista, partecipando ai concorsi e aggiudicandosi le commissioni pubbliche, e da coloro che hanno attraversato quel clima alla ricerca di un nuovo rapporto tra le esigenze della contemporaneità e la tradizione, tra l’arte e il pubblico. La presenza di dipinti, sculture, cartoni per affreschi, opere di grafica, cartelloni murali, mobili, oggetti d’arredo, gioielli e abiti intende offrire una visione a tutto tondo del legame tra le arti, maggiori e minori, e le espressioni del costume e della vita, passando dal mito classico a una mitologia tutta contemporanea». Per dirla, nuovamente, con Bontempelli, mitologie, favole e storie che dovevano perdere ogni legame con l’artista che le aveva inventate per diventare patrimonio comune degli uomini, quasi cose della natura. Una proposta espositiva sicuramente complessa quella dei Musei San Domenico sostenuti dal Comune e dalla Cassa dei Risparmi di Forlì. Ma una proposta, come si diceva in apertura, affrontata al solito con «straordinaria organizzazione, meticolosa documentazione e prestiti eccezionali». E che il pubblico, al solito, sta premiando con un’affluenza costante e cospicua.