Nel video l’intervista a Francesco Cameroni, Comitato “Alluvionati non per caso”
Il materiale vecchio, risalente a fine Ottocento, usato nella costruzione dell’argine, la possibile esistenza di tane di animali nascoste, il volume di piena eccezionale: questo il mix che avrebbe portato al collasso dell’argine del fiume Panaro il 6 dicembre scorso. A tracciare il quadro è la commissione scientifica speciale incaricata dalla Regione. Dopo due mesi di lavoro, il pool presieduto dal professor Giovanni Menduni, del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano, ha escluso che la rottura sia stata dovuta a ragioni di sormonto o mancata manutenzione. Inoltre, si legge nella sintesi presentata alla Regione, la Cassa di espansione è stata utilizzata al massimo delle capacità di invaso. Ciò che avrebbe dato il colpo di grazia a un argine costituito da materiale vecchio e in parte decomposto nel tempo, è stata la dimensione della piena, causata dal livello persistente di precipitazioni cadute e dal concomitante scioglimento della neve in Appennino. “È verosimile – si legge nel rapporto – che le disomogeneità della struttura dell’argine, insieme a una cavità, probabilmente una tana, abbiano permesso all’acqua di penetrare fino a determinare il crollo”. Una risposta che tuttavia non soddisfa i comitati di cittadini alluvionati. Rimane poi aperto, dicono dalla Fossalta, il nodo decennale della cassa d’espansione secondaria del fiume Panaro.