Solo un lavoratore su cinque, poco meno del 20%, ha ricevuto i soldi della cassa integrazione in deroga in questi primi due mesi di lockdown totale. E’ il dato allarmante diffuso dall’Inps e contestato dalle Regioni, cui è stata affidata la procedura di comunicazione dei flussi. Il decreto Cura Italia che ha stanziato 5 miliardi per gli ammortizzatori sociali è entrato in vigore il 17 marzo per aiutare 13,8 milioni di lavoratori tramite Cassa integrazione ordinaria, assegno ordinario e Cassa in deroga. Da allora sono 9,1 milioni i lavoratori che hanno fatto domanda, ma di questi solo 6,2 milioni possono ad oggi dire di avere l’assegno in tasca. Oltre 3 milioni sono senza stipendio da due mesi, di questi i più penalizzati sono quelli della Cassa in deroga, coperta da soldi pubblici ma col meccanismo affidato alle Regione con cui è polemica. All’indomani del Cura Italia ogni Regione ha fatto accordi quadro con le parti sociali, da lì via alle domande delle aziende alle Regioni, dopo aver informato i sindacati, senza bisogno di accordi. Le Regioni poi hanno controllato, “decretato” le domande e le hanno spedite a Inps. Sono però tanti i problemi che ha incontrato questo percorso e alle Regioni sono arrivate 472 mila domande per 1,3 milioni di lavoratori, ma Inps ne segnala solo 305 mila per 641 mila lavoratori. La certezza è che su 6,1 milioni di lavoratori che hanno chiesto la Cassa ordinaria o l’assegno ordinario 5,5 milioni hanno i soldi in tasca grazie all’anticipo delle loro aziende. L’Inps ha pagato i 600 mila restanti, ma su 3 milioni di sua spettanza: il 20% appena. Per la Cig in deroga i numeri poi sono impietosi: 122 mila lavoratori pagati su 641 mila. In Emilia Romagna in particolare sono state 19.837 le domande decretate dalla Regione, di cui 13.572 autorizzate dall’Inps e solo 3.353 pagate.
CASSA INTEGRAZIONE. DOPO DUE MESI SOLDI SOLO A UN LAVORATORE SU 5
A due mesi dal lockdown totale del 9 marzo, solo un lavoratore su cinque ha ricevuto i soldi della Cassa integrazione in deroga. E’ l’Inps a rendere noti questi dati, contestati dalle Regioni a cui erano affidate le comunicazioni dei flussi di dati