Nel video l’intervista a Don Angelo Lovati, Cappellano Casa Circondariale S. Anna
I primi campanelli d’allarme erano già suonati, all’interno del Carcere Sant’Anna, dove si è tolto la vita pochi giorni fa Andrea Paltrinieri, in cella per il femminicidio di Anna Sviridenko. Il suo gesto estremo è stato il terzo nel giro di pochi giorni all’interno dello stesso penitenziario. Una scia di violenza che ha riacceso con forza la riflessione sulle carceri, sui loro ambienti e sulla capacità di adempiere al loro compito rieducativo. Secondo quanto si apprende, Paltrinieri quest’estate aveva subito una violenta aggressione, non è chiaro se da uno o più detenuti: era comunque stato picchiato brutalmente al volto, tanto da essere portato in ospedale con gravi ferite. In autunno, i suoi avvocati hanno manifestato preoccupazione sul fatto che potesse compiere un gesto estremo. Una preoccupazione condivisa anche dal cappellano del Carcere Sant’Anna, Don Angelo Lovati, che nella nostra trasmissione, Detto e Non Detto, ha dichiarato, senza mai citarlo esplicitamente, di averlo incontrato poco prima della morte, e di aver visto in lui una persona fortemente provata dal terribile atto che aveva commesso e dalla situazione che stava vivendo. Il 31 dicembre al Sant’Anna si è tolto la vita un 37enne macedone, il 4 gennaio un 29enne marocchino che aveva tentato il suicidio qualche settimana prima. Il 7 gennaio, Paltrinieri. Un dramma senza fine, che spinge a pensare a come fermare questa scia di sangue e a riportare le carceri alla loro dimensione di luogo di recupero e inserimento degli internati