Lo studio della Fondazione Caponnetto

Ottanta clan. Venti miliardi di euro come fatturato. E un patto di ferro tra ‘Ndrangheta, Camorra e Cosa Nostra per spartirsi il territorio ma soprattutto gli affari. È l’inquietante fotografia criminale dell’Emilia Romagna scattata nel Rapporto sulle presenze della criminalità organizzata realizzato dalla Fondazione Antonino Caponnetto e presentato per la prima volta nella giornata di ieri. «Il rapporto non è un romanzo, ma è il resoconto delle attività di indagine della magistratura e delle Forze di polizia», si specifica in premessa. E infatti in esso si possono trovare nel dettaglio le indagini, gli arresti e le confische dell’ultimo anno. Nello studio viene innanzitutto fatta una mappatura della miriade di cosche che in Emilia Romagna hanno trovato terreno fertile per i propri business. Sul territorio modenese i gruppi criminali attivi sono addirittura 20. tredici le ‘ndrine calabresi: Alvaro (Reggio Calabria), Arena (Isola Capo Rizzuto – KR), Barbaro (Platì – RC), Bellocco (Rosarno – RC), Dragone (Isola Capo Rizzuto – KR), Gallo (Gioia Tauro – RC), Grande Aracri (Cutro – KR), Longo-Versace (Polistena – RC), Mazzaferro (Marina di Gioiosa Jonica – RC), Muto (Cetraro – CS), Nicoscia (Isola Capo Rizzuto – KR), Nirta-Strangio (San Luca – RC), Valle-Lampada (Reggio Calabria). Cinque i clan legati alla Camorra: casalesi (provincia di Caserta), casalesi della fazione Schiavone (Casal di Principe – CE), Di Gioia (Torre del Greco – NA), Fabbrocino (Zona vesuviana di Nola – NA), Terracciano (quartieri Spagnoli di Napoli). Un clan di Cosa Nostra (corleonesi di Corleone – PA) e uno della Sacra Corona Unita pugliese (Zonno della provincia di Bari). L’analisi evidenzia che le infiltrazioni «criminali – facilitate anche dai mafiosi che furono mandati in soggiorno obbligato – hanno raggiunto livelli di colonizzazione in molte zone dell’Emilia Romagna». Agli inizi, la suddivisione delle zone «è stata decisa da azioni cruente». Via via, nel corso degli anni, dopo che sono state «acclarate le gerarchie e le egemonie», le mafie «hanno in parte, ma visibilmente archiviato i metodi criminali violenti, e hanno deciso di lavorare ‘sotto traccia’ stabilendo una sorta di pax, costituendo anche alleanze e collaborazioni, realizzando vere e proprie holding imprenditoriali». Anche recenti attività d’indagine, ad esempio, hanno evidenziato «collaborazioni tra criminalità organizzata siciliana e calabrese». Oramai i sodalizi criminali «sono in grado di aggiudicarsi, stabilmente, appalti, subappalti, noleggi e concessioni, sia pubblici sia privati. I rischi di inquinamento dell’economia legale hanno raggiunto livelli inquietanti. Oramai, nessun territorio può ritenersi permeabile all’avanzata dei clan». Non solo la criminalità autoctona ma anche quella allogena «ha raggiunto livelli di pervasività inquietanti. Si sono evidenziati gruppi criminali composti da albanesi, rumeni, bulgari, cinesi, magrebini, nigeriani e di altre etnie, dediti al traffico di sostanze stupefacenti, al favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, all’usura, all’estorsione, alle truffe telematiche mediante la clonazione di carte magnetiche e alla commissione di reati predatori. Si sono, inoltre, moltiplicate le organizzazioni multietniche, composte anche da italiani, che sono molto attive nella commissione di quei reati che, per loro natura, necessitano di una più strutturata organizzazione». Appare evidente che «le organizzazioni criminali, presenti sul territorio, sono in una fase evolutiva che punta, soprattutto, a estendere gli interessi in zone ‘controllate’ da altri sodalizi, stipulando accordi di scambio reciproco. Per questo motivo, servono più che mai strumenti di collaborazione condivisi tra le istituzioni». nLuca Soliani