Terremoti in famiglia Uguccione de Contrari, detto anche “Uguccione il Grande” essendo stato l’artefice dello splendore tardogotico di Vignola già profumato di Umanesimo e di Rinascimento, fu nella prima metà del Quattrocento il rampollo di maggior successo di un casato che a Ferrara vantava già all’epoca lunga vita, altrettanto cospicua discendenza, ricchezze e titoli in quantità, e un credito all’interno della corte estense che le intelligenti gesta militari, politiche e diplomatiche di Uguccione al servizio di Nicolò III poterono solo incrementare. La famiglia, documentata fin dall’XI secolo, conobbe un primo periodo di affermazione e di fulgore nella seconda metà del Duecento quando, legandosi a più nodi ai signori D’Este con giuramenti di fedeltà e di sottomissione ripetuti e ribaditi, cominciò anche a scalare le gerarchie sociali cittadine e ad accumulare beni e privilegi. Nel 1310 alcuni De Contrari furono annoverati nelle cronache locali tra quei sudditi che giurarono pure e pubblicamente lealtà alla Santa Sede, di cui gli Este erano vicari per la giurisdizione di potere su Ferrara. Un atto, questo, che prolungherà i propri effetti nei decenni a venire culminando poi nella nomina di Uguccione “il Grande” dapprima, nel 1403, a maresciallo generale dell’esercito pontificio, in seguito, nel 1410, addirittura a capitano generale della Chiesa. Incarico prestigiosissimo, pressoché degno di un sovrano regnante, e di cui era già stato fregiato il marchese Nicolò. A Ferrara, prima di trasformare la rocca difensiva di Vignola in un castello signorile, in un maniero maestoso ed elegante, nella dimora confortevole e affrescata di una famiglia feudale ai vertici della considerazione sociale e dell’opulenza privata, i De Contrari abitarono un palazzo celebre ai suoi tempi per le evidenti merlature e per le grandi finestre decorate in una via a ridosso della cattedrale che ancora oggi porta il loro nome, segno che anche anticamente quella era la casa più importante dell’isolato. L’edificio subì gravissimi danni in seguito al terremoto del 1570, un fenomeno di notevole intensità e dallo sciame sismico infinito (ben quattro anni durarono le scosse di assestamento!) che costrinse anche la corte di Alfonso II ad abbandonare il Castello Estense e ad allestire le ducali tendopoli nei giardini addossati alle mura e nella campagna circostante la città. Sotto i ripari improvvisati dove furono portati materassi, coperte, ciò che si era salvato del sontuoso vasellame da tavola del Castello e ogni possibile suppellettile che potesse in qualche modo confortare la sconvolta quotidianità dei sovrani e dei cortigiani si consumò, peraltro, un’altra tragedia, la morte della duchessa Barbara d’Austria, seconda consorte del duca Alfonso, donna teutonica e vigorosa che però non resse all’urto incessante dell’energia terrestre, si ammalò nei polmoni e andrò dritta nella tomba nell’anno 1572, senza aver mai potuto fare definitivo rientro nei suoi appartamenti gravemente lesionati e insicuri. Anche i De Contrari patirono le stesse sorti, e in tutta fretta lasciarono la residenza ferita di città alla volta delle vaste tenute di campagna, dove avevano non solo ville rurali dalla struttura curtense allargata e robusta, ma vasti prati in cui organizzare a propria volta ricoveri di fortuna per uomini, animali e beni di lusso. E, naturalmente, la rocca di Vignola, che da buona sentinella vecchia di secoli aveva retto all’urto di riflesso della terra senza cedimenti. Tuttavia, quella catastrofe improvvisa che aveva scosso le loro vite e le loro case fin dalle fondamenta, e che in terra ferrarese non accennava a scemare del tutto, era solo il preludio dell’imminente rovina dinastica che li attendeva. All’epoca a capo del casato c’era il conte Ercole “il giovane”, signore in tutto degno degli avi per cavalleria, portamento e brillantezza, ma forse un po’ troppo fiducioso nella benevolenza estense, che non era più quella del marchese Nicolò III, un po’ troppo ingenuo nel confidare che l’autorevole reputazione acquisita dalla sua stirpe potesse proteggere ogni sua azione. E coprirne persino un peccato di cuore. Amore e Morte Il 1575 sembrò per i De Contrari l’ennesimo anno di grazia. Riattato il Castello Estense di Ferrara e riavutosi dai lunghi spaventi del sisma, Alfonso II aveva ripreso a vivere sfarzosamente e a dispensare titoli e favori, e l’elevazione del feudo di Vignola a marchesato parve appunto ai De Contrari, che così ne rimanevano i titolari indiscussi, un’ulteriore prova di quanto la famiglia fosse nelle simpatie del signore regnante. Solo che il marchese di nuova nomina, Ercole de Contrari “il giovane”, celava un segreto scottante, la relazione sentimentale assolutamente clandestina con la sorella del duca, la bella e infelice Lucrezia, che portava il nome della nonna Borgia, che era stata cantata da Torquato Tasso e che in quell’amore proibito, iniziato già prima delle nozze, aveva trovato l’unica consolazione dalla tetra vita coniugale accanto all’inetto e violento marito, il duca di Urbino Francesco Maria II della Rovere. Dal quale, infatti, si sarebbe formalmente separata nel 1578 per insofferenza di caratteri e impossibilità di convivenza pacifica. Non si sa se Alfonso II colse l’occasione per porre fine alle secolari fortune dei De Contrari, se insomma sotto vi fosse qualche altra recondita e segreta ragione, o se davvero il duca si fosse sentito talmente offeso dalla notizia della storia d’amore del suo vassallo con sua sorella da decretare la morte di lui senza appello. Sta di fatto che a soli pochi mesi dalla nomina a marchese, Alfonso convocò Ercole nelle proprie stanze e lì lo fece strangolare dai suoi sicari. Sicari che la disperata e furibonda Lucrezia avrebbe poi identificato con personale e incrollabile sicurezza nei cugini Estensi titolari del marchesato di Montecchio, per la precisione in quell’Alfonso d’Este di Montecchio il cui figlio Cesare, qualora fosse stata confermata, come poi si confermò, la sterilità di Alfonso II, sarebbe diventato l’erede della linea principale della dinastia atestina. Ma ci pensò lei a rimettere le cose a posto e a vendicare il suo amante ucciso. Si sedette sulla sponda del fiume e attese che passasse il suo nemico. Attese pazientemente per ben ventitré anni, durante i quali allacciò un’altra rischiosa relazione con il conte Luigi Montecuccoli e vide morire senza figli il fratello duca mandante dell’omicidio, l’ultimo sovrano legittimo del ramo principale estense. Quindi, al principio del 1598, ingenuamente inviata dall’erede Cesare al tavolo delle trattative con il cardinal legato Pietro Aldobrandini per evitare che Ferrara fosse tolta agli Este del ramo collaterale di Montecchio e perciò restituita al Patrimonio della Chiesa, Lucrezia si prese la sua bella rivincita e sottoscrisse senza pensarci un attimo la “Convenzione faentina”, il documento senza ritorno che cedeva tutto, ma proprio tutto, la città avita, il felice territorio ducale, Comacchio, Cento e persino i beni personali di lei al papa Clemente VIII. Era fatta. La morte e la memoria di Ercole Contrari finalmente vendicate. La sua sete di rivalsa appagata. Le ferite del suo cuore un poco rimarginate. Con gli Este di Montecchio costretti a trasferirsi a Modena per poter sopravvivere in un dominio lecito, il solo che rimaneva loro, Lucrezia poté ripercorrere il senso della sua storia e comprendere appieno quanto la fine brutale dei De Contrari di Vignola avesse trascinato con sé l’incredibile fine degli Este di Ferrara. Sottoscritta da lei con piena consapevolezza e mano fermissima. Poi chiuse gli occhi sul mondo e raggiunse il suo povero De Contrari in altri lidi… Gli ultimi signori La morte senza eredi di Ercole de Contrari “il giovane” per mano degli Este concluse la signoria della famiglia su Vignola. Altri maschi titolati a succedergli nel marchesato evidentemente non ce n’erano e così dopo centosettantaquattro anni (1401-1575) di buon governo e di preziose committenze d’arte il piccolo borgo e la sua rocca divenuta castello tornarono sotto il diretto controllo degli Este. Due anni soltanto, però, Alfonso II ne tenne il dominio, perché quando nel 1577 il pontefice Gregorio XIII Boncompagni (passato alla storia per l’introduzione del calendario gregoriano), di origini assisiati, ne avanzò la richiesta per dare un principato in più al suo figlio naturale Giacomo, il duca non esitò a vendergli il titolo e il feudo marchionali certo alzando il prezzo in nome delle meraviglie che i De Contrari vi avevano messo e lasciato. Tant’è che i Boncompagni nell’arco di una dominazione più lunga rispetto a quella dei De Contrari e interrotta nel 1796 a causa dell’invasione napoleonica non aggiunsero altri cicli pittorici all’interno della rocca, limitandosi a reintegrare e a restaurare quelli tardogotici, e di matrice senz’altro ferrarese, voluti dal conte Uguccione. Del resto, a differenza dell’innamorato Uguccione, essi affidarono «l’amministrazione del feudo a un governatore, limitandosi a visitare Vignola solo sporadicamente» e a sistemarsi per le rare occasioni di soggiorno nel palazzo di Ercole de Contrari “il vecchio” progettato dall’architetto oriundo Jacopo Barozzi nel 1557, in seguito denominato Palazzo Boncompagni.