Nel video l’intervista a Giulia Tosti, Associazione Libera
Erano le 16.58 del 19 luglio di 31 anni fa quando il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta persero la vita in un attentato esplosivo al civico 21 di via D’Amelio a Palermo. Era una domenica come tante ed erano passati 57 giorni dalla morte del giudice Giovanni Falcone, ucciso in un altro attentato lungo l’A 29 il 23 maggio del 1992. Borsellino quel giorno era stato con la famiglia nella casa al mare e dopo aver pranzato era andato a trovare la madre in via D’Amelio. Gli uomini della mafia avevano studiato nel dettaglio ogni sua abitudine e sapevano come colpirlo. E’ così che due minuti prima delle 17, al passaggio della vettura del giudice fecero esplodere una Fiat 126 parcheggiata proprio davanti al portone della casa della madre di Borsellino. La vettura era stata riempita con 90 chilogrammi di esplosivo. Una grossa fiammata, poi il violento boato e infine l’ennesima devastazione: dopo Falcone l’Italia perdeva per sempre anche Paolo Borsellino. Le immagini della distruzione con le auto arse dalle fiamme fecero il giro di tutte le televisioni. Inerme l’Italia assisteva alla morte di un altro magistrato simbolo della lotta a Cosa Nostra. Una strage, insieme a quella di Capaci, che a distanza di anni non va dimenticata.
A distanza di 31 anni i giudici Falcone e Borsellino sono e resteranno per sempre, un simbolo nell’immaginario collettivo di giustizia, di legalità ma anche di lotta e determinazione. E anche per loro bisogna continuare a combattere contro le mafie alla ricerca della verità