Il Comune viola la libera concorrenza da quasi 20 anni. Questa l’estrema sintesi alla base della sentenza-choc del Tar di Bologna che ha annullato il contratto tra l’amministrazione ed Hera Luce sull’illuminazione pubblica della città, stipulato senza previa gara pubblica. Il Tribunale ha registrato una mancanza di validità giuridica nell’affidamento diretto alla società di via Razzaboni fino al 2027 e il non rispetto della legge in materia di garanzia della concorrenza e del libero mercato. Una legge, quest’ultima, entrata in vigore sulla base di norme europee nel 2004 e da allora -secondo il Tar – violata dal Comune. Piazza Grande affidò la gestione dell’illuminazione della città all’allora Meta nel 1997 e per i 30 anni successivi, con scadenza quindi al 2027, e in virtù di quell’accordo i servizi sono stati sempre affidati senza alcuna gara pubblica. Nel 2005 nacque Hera Spa, che rilevò le quote societarie di Meta, ma anche qui, secondo i giudici, le stesse quote “non risultano dismesse con pubblica gara o altra procedura aperta alla concorrenza, ma tramite un’operazione di fusione per incorporazione di Hera Spa”. Tornando agli accordi tra Comune ed Hera, le luci si sono accese dopo il ricorso fatto da Citelum Italia Srl con l’intervento di City Green Light, che hanno lamentato la ‘violazione dei principi di libera concorrenza, massima partecipazione, non discriminazione, imparzialità, trasparenza e correttezza’. Un ricorso depositato e accolto dal Tar dopo l’affidamento diretto a Hera Luce per il programma “Modena pensa led” nel 2014 e poi ancora lo scorso anno con “Modena full led”, quando è stato attivato un intervento di 7 milioni di euro per sostituire 14mila corpi illuminanti in città. Il Comune ha dichiarato che sta approfondendo i contenuti della sentenza del Tar per presentare ricorso al Consiglio di Stato. Lo stesso sta facendo Hera.
TERREMOTO TAR: IRREGOLARI LE CONCESSIONI DIRETTE DEL COMUNE A HERA
Una sentenza del Tar getta ombre sui contratti stretti tra Comune ed Hera senza gare pubbliche. Una consuetudine quasi 20ennale che secondo i giudici va contro le norme sulla libera concorrenza