Un lavoro condotto da un team modenese di Unimore, coordinato dal prof. Andrea Cossarizza coadiuvato dalle ricercatrici Sara De Biasi e Lara Gibellini e dal dottorando di ricerca Domenico Lo Tartaro, con la collaborazione del team diretto da Enrico Lugli dell’Istituto Clinico Humanitas (Milano), identifica le cellule del sistema immunitario che predicono l’efficacia terapeutica nei pazienti con melanoma metastatico trattati con i farmaci biologici antitumorali.
Lo studio, al quale hanno partecipato numerosi medici e ricercatori di Unimore e dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena, tra cui Giovanni Pellacani, Silvio Bicciato, Roberta Depenni e Roberto Sabbatini, ha suscitato l’interesse della comunità scientifica internazionale ed è stato appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Communications.
È stato osservato che, prima di iniziare l’immunoterapia, i pazienti con melanoma metastatico, in cui si assisterà ad una regressione della dimensione delle metastasi tumorali rispetto ai pazienti senza tale regressione, possiedono nel sangue periferico più alti livelli di un tipo di linfociti molto particolari, le cellule T invarianti associate alle mucose (MAIT). L’analisi del loro trascrittoma, ovvero della loro espressione genica, analizzata misurando i livelli di tutti gli RNA messaggeri a livello di singola cellula, ha dimostrato che tali linfociti hanno attivato un particolare set formato da decine di geni. I livelli ematici di queste cellule permangono durante la terapia e per tempi prolungati.
I linfociti MAIT hanno caratteristiche ibride dell’immunità innata e adattativa, generalmente svolgono le loro funzioni di killing nella mucosa e riconoscono molecole tipiche di diversi batteri. È stato visto che queste cellule, presenti anche nella circolazione sanguigna, possono essere attivate anche da molecole derivate da tumori. Le cellule MAIT attivate hanno la capacità di migrare nei tessuti infiammati, compresi quelli delle metastasi, dove possono svolgere le loro attività citotossiche e uccidere le cellule del tumore.
I pazienti con melanoma metastatico che vengono trattati con gli innovativi famaci biologici, che bloccano l’inibizione della risposta immunitaria, possono rispondere molto bene alla terapia, oppure non rispondere affatto. Capire chi potrà beneficiare di questo trattamento è quindi di grande importanza, al fine di poterla iniziare subito o di modularne la potenza. Fin dal 2017, in collaborazione con il Centro Oncologico Modenese (COM) e la Clinica Dermatologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena, il laboratorio di immunologia diretto dal prof. Andrea Cossarizza, è stato impegnato nell’identificazione dei meccanismi molecolari e cellulari della risposta all’immunoterapia nei pazienti con melanoma metastatico, al fine di individuare bersagli che possano predire e monitorare la risposta alla terapia. Da allora, per studiare questi aspetti il gruppo modenese si è valso della preziosa collaborazione del dott. Enrico Lugli (già allievo del prof. Cossarizza e dottore di ricerca presso Unimore), responsabile del Laboratorio di Immunologia Traslazionale presso l’Istituto Clinico Humanitas, e impegnato da molti anni nello studio del ruolo dei linfociti T nella risposta anti-tumorale.
“Questo studio è un esempio di quello che per noi rappresenta la ricerca traslazionale che da molti anni conduciamo nel laboratorio di Immunologia di Unimore – afferma Sara De Biasi – Il nostro obiettivo è portare avanti la ricerca di base fatta con le più sofisticate metodiche e tecnologie per ottenere risultati utili alla clinica, atti a migliorare ed implementare la diagnosi e la terapia di molte malattie.”
“E’ il primo studio che dimostra quali cellule del sangue periferico abbiano un valore predittivo nella risposta alle terapie immunomodulanti dei tumori, che identifica i geni coinvolti – spiega il prof. Andrea Cossarizza di Unimore – e che permette di pensare che i linfociti MAIT svolgano un ruolo molto importante nel combattere i tumori. I prossimi passi saranno quindi quelli di utilizzare queste cellule come biomarcatori predittivi di risposta alla terapia con i nuovi farmaci biologici antitumorali, ed eventualmente, in un futuro non troppo lontano, di utilizzarle come arma terapeutica, sfruttando le metodiche di terapia cellulare che oggi ben conosciamo”.
“Grazie a tecnologie innovative e a nuovi approcci bioinformatici, che ora ci permettono di seguire migliaia di parametri a livello di ogni singola cellula isolata dal sangue o dalle lesioni dei pazienti – sottolinea il dott. Lugli dell’Humanitas – riusciamo a definire con precisione l’identita’ e le dinamiche di popolazioni immunitarie estremamente rare, come quelle delle MAIT, potenzialmente coinvolte nella risposta anti-tumorale”.
“Vorrei infine ricordare, – conclude Cossarizza – che lo studio è stato finanziato da un progetto della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, dal nostro Ateneo, dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, dalla Sanfelice 1873 Banca Popolare, dal Rotary Club Distretto 2072, e per il sequenziamento dell’RNA a singola cellula ha ricevuto un importantissimo contributo non condizionale dal valore di oltre 2 milioni e mezzo di dollari dalla Bio-Rad di San Francisco, una delle principali aziende internazionali di biotecnologie e strumentazioni scientifiche. A tutti loro va il nostro ringraziamento più sentito”.