Apprendiamo con piacere dalle ultime statistiche sulla qualità della vita, che la provincia di Modena si attesta sempre nelle primissime posizioni. Segno di una vivacità culturale, capacità imprenditoriale, oculata ed efficace gestione del bene pubblico e dei servizi da parte dell’amministrazione locale, che rendono il territorio modenese, ancora una volta, un ottimo luogo in cui vivere. Ma è con dispiacere che notiamo come nel corso degli anni la classifica inerente “giustizia e Sicurezza” è andata gradatamente e costantemente peggiorando relegando la provincia di Modena nelle ultime ed ultimissime posizioni nazionali. Si veda a tal proposito la classifica di novembre di “Italia Oggi” in collaborazione con l’Università “La Sapienza” e quella recentissima del “SOLE 24ORE” che emarginano Modena, rispettivamente al 74° ed addirittura al 99° posto (su 107 provincie).
Evidentemente gli allarmi lanciati dal SIULP in merito, non erano frutto di percezioni o lamentele strumentali, ma il risultato di una attenta analisi basata sull’elaborazione dei dati e diretta conoscenza dei fenomeni criminosi con i quali tutti i giorni ci confrontiamo.
Ed ancora di più non riusciamo a capire come mai al Ministero dell’Interno non vedano o non considerino tale pregiudizievole situazione attestata da competenti ricercatori, e quindi non agiscano di conseguenza per riportare Modena a quei livelli di “giustizia e sicurezza” fisiologicamente accettabili.
Come mai Modena, nonostante evidenti fenomeni di micro e macro-criminalità, opportunamente certificati, non venga elevata in fascia A e munita di personale e mezzi adeguati e necessari per contrastare le varie e diverse forme di criminalità, rimane per noi un mistero.
Il senso di sconforto e di abbandono da parte dell’Autorità centrale nei confronti della provincia modenese, e che pervade gli operatori di polizia ma anche i cittadini, e costantemente percepibile e palpabile nella comunità, e non giova all’efficacia dell’azione di contrasto alla criminalità e che anzi ne viene indebolita.
Affrontiamo i fenomeni criminali del 2020 con le stesse risorse del 1989, come se nulla fosse cambiato e ciò ci sembra sinceramente inaccettabile.
Ma le stesse domande dovrebbero essere un cruccio anche dell’amministrazione e della politica locale, così brava ed efficiente nella gestione dei servizi pubblici di diretta competenza, ma che alla luce delle nuove disposizioni in materia di sicurezza pubblica urbana, non è più esente da responsabilità in merito.
Dalla cittadinanza oramai quotidianamente provengono appelli affinché le forze dell’ordine siano più presenti sul territorio al fine di contrastare la c.d. criminalità predatoria che, oggettivamente, mette in pericolo la proprietà pubblica e privata nonché l’incolumità fisica e psichica delle persone.
Gli sforzi delle diverse polizie e della magistratura sono costanti del tempo, ma perdono di efficacia quando si scontrano non solo con la mancanza di risorse umane e materiali, ma anche con norme di legge estremamente garantiste e spesso inefficaci.
Come qualche magistrato ha già detto: “negli anni, a fronte di una domanda crescente di sicurezza da parte della comunità, abbiamo assistito in realtà ad una virata in chiave più garantista del sistema, con un allentamento delle misure di prevenzione”.
E ciò vuol dire che se la polizia arresta, ma subito dopo i delinquenti sono di nuovo in libertà in attesa di un indeterminato ed indefinito giudizio, è perché la legge prevede cosi.
Preoccupa moltissimo, in tale contesto, il fenomeno delle c.d. “BABY GANG”, agglomerati di giovani e giovanissimi del tutto indifferenti alle conseguenze per le proprie azioni teppistiche o peggio delittuose, proprio perché consapevoli del fatto che in virtu’ della loro età non rischiano nulla o quasi.
Ed anzi se ne fanno vanto, sui social e sui media, come se la violenza e la sopraffazione esercitata sui più deboli, sui cittadini o verso le istituzioni ed i loro rappresentati, fosse uno stile di vita da perseguire e diffondere.
Andrebbe quindi esaminato il contesto familiare nel quale cresce e si sviluppa questa criminalità minorile, almeno per intervenire, tempestivamente, con gli strumenti sociali e giudiziali di prevenzione e riabilitazione che la normativa prevede.
Nel frattempo, noi continuiamo a presidiare il territorio ed investigare per quelli che siamo e con gli strumenti che abbiamo, consci che i risultati, potrebbero essere migliori se messi in condizioni di operare con sicurezza individuale e certezza di una pena giusta ed immediata per chi delinque.
Ci attende un duro lavoro per le festività natalizie e di fine anno, tra criminalità diffusa e sempre più atti di insofferenza verso le misure restrittive emanate per contrastare la diffusione del virus “COVID 19”, e che colpiscono i singoli operatori di Polizia, tra l’altro molti dei quali non impiegabili in quanto anch’essi malati.
Rimaniamo sempre dell’idea che dentro ad ogni divisa c’è un essere umano, la cui incolumità dovrebbe essere tutelata almeno quanto quella dell’aggressore.
Siamo convinti che aggredire un pubblico ufficiale od un incaricato di un pubblico servizio, vuol anche dire aggredire lo Stato democratico che essi rappresentano.