L’Arcidiocesi di Modena-Nonantola ha ricevuto la comunicazione che il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza Monsignor Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il 27 ottobre 2020. Durante l’Udienza, il Sommo Pontefice ha autorizzato la medesima Congregazione a promulgare il Decreto riguardante il martirio del Servo di Dio Luigi Lenzini, sacerdote diocesano, ucciso, in odio alla Fede, a Crocette di Pavullo nella notte tra il 20 e il 21 luglio 1945.
Don Luigi Lenzini nacque a Fiumalbo il 28 maggio 1881. Ordinato sacerdote il 19 marzo 1904, fu cappellano a Casinalbo e a Finale Emilia. Dopo il 1912, la sua vita si svolse soprattutto nel natio Appennino, prima come parroco a Roncoscaglia – dal 1912 al 1921 – quindi a Montecuccolo, fino al 1937. Parroco zelante, aveva un’anima contemplativa: non più giovane, si sentì chiamato ad entrare tra i Redentoristi, a Roma. Fu solo una breve parentesi, prima di tornare in diocesi con l’incarico di assistente spirituale nel Sanatorio di Gaiato. Nel 1941 divenne parroco di Crocette di Pavullo, nel comune di Pavullo nel Frignano, capoluogo di quell’Appennino modenese che nel 1944/45 divenne l’immediata retrovia della Linea Gotica, luogo di scontro tra le forze nazi-fasciste e le formazioni partigiane, mentre si attendeva l’arrivo degli anglo-americani. Come molti parroci, don Lenzini nascose in canonica persone braccate dagli occupanti e si prodigò per aiutare i suoi parrocchiani, di qualunque estrazione fossero. Le settimane successive alla Liberazione furono caratterizzate da scontri politici estremamente aspri: in questo contesto, don Lenzini parlava alto e forte in difesa della fede cattolica e contro l’uso della violenza. A Messa ripeteva: «Mi hanno imposto di tacere, mi vogliono uccidere, ma il mio dovere debbo farlo anche a costo della vita». Nella notte tra il 20 e il 21 luglio 1945, un gruppo di ex partigiani irruppe in canonica, trascinando via l’anziano parroco, in camicia da notte. Il suo corpo fu rinvenuto alcuni giorni dopo, semisepolto in una vigna.
«Don Lenzini non ha combattuto con gli uomini, nemmeno quelli che lo hanno attaccato, ma contro il male, in favore di tutti gli uomini in favore di una convivenza civile basata sull’amore e la riconciliazione. Se si ha odio per qualcuno, non si lotta contro il male, ma si è vinti dal male – disse l’arcivescovo Antonio Lanfranchi l’8 giugno 2011, nell’apertura della fase diocesana della causa di beatificazione -. Il santo è vincitore, testimone dell’amore più forte del male. Di quell’amore che ti fa alzare di notte anche ingannato, l’amore fatto dono, l’amore seme di una convivenza nuova fondata sull’amore. Ci servono queste testimonianze per costruire la civiltà dell’amore, per realizzare la nostra fondamentale vocazione, nei campi in cui il Signore ci chiama, che è la vocazione alla santità».